PATRICK KAVANAGH ON RAGLAN ROADdi John Waters
scrittore, giornalista e drammaturgo irlandese brano scritto gentilmente per la ShamRockBand in occasione della pubblicazione del CD One For The Road Per Patrick Kavanagh, un ragazzo di paese che crebbe fino a diventare uno dei più grandi poeti d'Irlanda, la poesia era una vocazione morale che richiedeva di essere rigorosi oltre ogni considerazione. Una tale etica gli costò molto cara lungo tutta la sua travagliata vita pubblica. Le sue poesie sono radicate nella ciclicità costante della realtà della natura e della vita. Esse cercano con ogni parola di catturare la realtà invisibile dietro il quotidiano e l’ordinario. Un cattolico convinto che scrisse in modo molto eloquente della fame spirituale creata da un atteggiamento eccessivamente pietistico, e che vide la sua vocazione fondamentalmente come religiosa. La sua insistenza nel parlare della Verità della sua visione della realtà lo costrinse a vivere la maggior parte della sua vita sulla soglia, o sotto la soglia, della povertà. Una poesia è davvero una preghiera, il vero poeta riceve il suo talento da Dio. La poesia non è letteratura, ma teologia, e coloro che ricevono questo dono sono quindi toccati da Dio come solo raramente accade ad altri. Ciò che contraddistinse Kavanagh da giganti meramente letterari come Yeats, Synge, Joyce e Beckett fu che lui trovò la strada del ritorno alla Sorgente. Non considerò mai la letteratura come mezzo di cronaca della condizione umana, ma come uno spiraglio attraverso il quale possiamo scrutare la quarta dimensione della vita, quell'aspetto dell'esistenza che rimane invisibile ma che cerca sempre il modo di comunicarci la sua Verità. La cosa più importante era quello che lui chiamò “Flash” – l'Altro Mondo che si affaccia per avvertirci alla Sua esistenza. Il brano più famoso di Kavanagh è anche uno tra i più belli: la poesia On Raglan Road, che ha scritto perché si adattasse a una musica tradizionale chiamata Fainne Gael An Lae (letteralmente “L'Anello Luminoso del Giorno” o, come il titolo viene spesso tradotto “Il Sorgere del Giorno”). È la storia di un amore perduto e reso amaro dalla delusione della scoperta che la sensazione di trascendenza instillata da quell’infatuazione non dura. Il “Flash” di questa presa di coscienza avviene quando il protagonista vede la sua amante di un tempo, alla quale aveva dato tutta se stesso, allontanarsi lungo la strada. È una canzone, quindi, che dice della sproporzione del desiderio umano, con un cenno del capo verso l'orizzonte oltre il quale ancora attende la vera soddisfazione. (John Waters) |
PATRICK KAVANAGH AND "ON RAGLAN ROAD"by John Waters
Irish Journalist, writer, columnist and editor Contribution kindly written specifically for the ShamRock Band's CD One For The Road For Patrick Kavanagh, a country boy who grew to be one of Ireland's greatest poets, poetry was a moral calling that required one to be rigorous beyond other considerations. This ethic was to cost him dearly throughout a difficult public life. His poems are rooted in the reality of nature and life's constant cycle. They seek with every word to capture the invisible reality behind the everyday and the ordinary. A staunch Catholic who wrote most eloquently of the spiritual hunger created by excessive piety, he saw his calling as fundamentally a religious one. His insistence on speaking the Truth of his vision of reality forced him to live most of his life on or below the breadline. A poem is really a prayer, the true poet is gifted by God. Poetry is not literature, but theology, and those who are given the gift are therefore touched by God in a way others rarely are. What marked Kavanagh apart from mere literary giants like Yeats, Synge, Joyce and Beckett was that he had found his way back to the Source. He did not regard literature as a means of chronicling the human condition, but as a chink through which we might peer into the fourth dimension of life, that aspect of existence that remains invisible but is always seeking to find ways of telling us its Truth. The important thing was what he called 'The Flash' – the Other World coming in to alert us to Its existence? Kavanagh's most famous piece is also among his most beautiful: the lyric On Raglan Road, which he wrote to fit the traditional tune, Fainne Gael and Lae (literally "the bright ring of day" or, as the song title is conventionally translated, 'The Dawning of the Day'). It is the story of love lost and turned sour by disappointment in the discovery that the feeling of transcendence instilled by the infatuation has not lasted. Hence, the 'flash' of realization that occurs when he sees his erstwhile lover, to whom he has given everything he is, scamper away from him in the street. It is a song, then, about the disproportionality of human desiring, with a nod towards the horizon beyond which the true goal yet awaits. (John Waters) |
SHAMROCKBAND - LA VOCE DELL'IRLANDAdi Paolo Gulisano
scrittore, saggista e medico italiano brano scritto gentilmente per la ShamRockBand in occasione della pubblicazione del CD One For The Road “La più nobile parte della terra è il lontano Occidente Irlanda è il suo nome negli antichi libri; ricca di mercanzie, d’argento e d’oro, di gioielli e di stoffe, benigni al corpo l’aria e il dolce suolo. Di miele e latte traboccano le belle pianure irlandesi, di seta ed armi, di frutta abbondanti, d’uomini e d’arte Non furia d’orsi, e la terra d’Irlanda Mai nutrì il seme selvaggio del leone; nessun veleno uccide, nessun serpente striscia nei prati, né la rana canta nel lago il suo alto, sgradevole lamento. Gli Irlandesi son degni di abitare questo loro paese, nella fede famosi, in pace e in guerra.” Più di undici secoli fa, un esule irlandese di nome Donagh, meglio conosciuto come Donato da Fiesole, scriveva dal suo eremo sulle colline toscane questo canto d’amore per la sua terra lontana. Donagh si era fatto pellegrino, aveva lasciato la sua isola ai confini del mondo e attraversato l’Europa per raggiungere Roma. A Fiesole, alle porte di Firenze, era stato fermato dalla gente del posto che, a motivo della sua straordinaria santità di vita, lo aveva eletto vescovo. Da quel momento Donagh era stato completamente assorbito dai suoi compiti, ma non aveva mai dimenticato la sua amata isola, che non avrebbe più rivisto. Per lei scrive queste parole piene di nostalgia, che nel corso dei secoli altri irlandesi avrebbero espresso per la propria terra. Gente cacciata dalla prepotenza degli invasori, o costretta a cercare salvezza durante la Gorta Mor, la spaventosa carestia che devastò l’Irlanda a metà dell’800. Il canto di amore di Donagh si era elevato dalla Toscana, e secoli dopo, ancora una volta da questa penisola italiana si alza una voce di amore, di passione, di nostalgia, dedicata all’Irlanda. È quella della ShamRock Band, che infonde nelle proprie note, nei propri strumenti, nell’incontro stupito con la tradizione gaelica, tutto l’amore per quella che fu chiamata l’Isola del Destino. In questi strumenti gaelici suonati nella celtica terra di Insubria, poi chiamata Lombardia, si avverte una fratellanza profonda con quella storia, con quel popolo, con le sue canzoni, con i suoi pianti, con le sue gioie. L’Irlanda dunque è una terra antica, magica, affascinante, diventata negli ultimi anni oggetto di sogno e desiderio per tutti coloro che, visitandola o semplicemente sentendone parlare, ascoltando la sua musica, leggendo i suoi miti e le sue tragiche vicende storiche, vi hanno riconosciuto una patria dell’anima, legando in vario modo ad essa il proprio affetto. Miti e leggende di quest’isola, dove il mito ha sempre accompagnato la storia antica, intrecciandosi con la realtà come in uno dei disegni dell’antica arte celtica, come la vediamo rappresentata nelle miniature del Libro di Kells - una delle più straordinarie espressioni figurative dell’umanità - o come nei bassorilievi scolpiti sulle grandi croci di pietra, e che sono andati a formare la tradizione irlandese. Ecco dunque da Milano, dall’Insubria, un altro omaggio all’Irlanda, quello della ShamRock Band. La voce dell’Irlanda è raccolta dalla loro voce. Niente di cui stupirsi: l’“Irlandesità” non è principalmente una questione di nascita o di sangue o di lingua: è la condizione di chi è coinvolto nella realtà irlandese. Ci sono molti motivi per amare l’Irlanda: la sua storia, il suo glorioso e tragico passato, la sua tradizione, le sue favole e i suoi folletti, i suoi miti, e i suoi paesaggi mozzafiato, dalle colline di Tara alle scogliere di Moher, per la sua birra e per la sua gente. E per ognuno di questi buoni motivi ci sono canzoni e ballate che descrivono storie, pensieri, emozioni, voci e volti dell’Irlanda. Per questo motivo vale la pena, ancor oggi, ascoltare la musica di questa isola straordinaria, assaporare la sua cultura, la sua identità, con attenzione e interesse, e con uno sguardo d’insieme che può anche partire da lontano, da altre terre d’Europa. (Paolo Gulisano) |
SHAMROCKBAND - THE VOICE OF IRELANDby Paolo Gulisano
Italian writer, columnist and appreciated doctor Contribution kindly written specifically for the ShamRock Band's CD One For The Road Here from Milan, from Insubria, comes another tribute to Ireland, brought by the ShamRock Band. The voice of Ireland is gathered in through their voice. No wonder: “Irish-ness” is not merely a matter of birth or blood or language: it is the condition of all those belonging to the reality of Ireland. There are so many reasons to love Ireland: her history - glorious and tragic - traditions, fables and leprechauns, myths, breathtaking landscapes - from the Hill of Tara to the Cliffs of Moher - the beer and the people. And for each of these good reasons there are songs and ballads that tell the stories, thoughts, feelings, voices and faces of Ireland. |
LUCE E BUIO DELLA GRANDE MUSICA IRLANDESEDi John Waters
scrittore, giornalista e drammaturgo irlandese brano scritto gentilmente per la ShamRockBand in occasione della pubblicazione dell'album di debutto "The Welcome Glass" e pubblicato successivamente su IlSussidiario.net (2012) Il grande chitarrista blues irlandese Rory Gallagher usava definire la musica come un linguaggio che non ha mai smesso di parlare dentro di lui, come di un loop continuo nel suo cuore che esprimeva qualcosa che egli non avrebbe saputo dire altrimenti. Tutto ciò che poteva fare era mettere in musica quello che riusciva a cogliere. Forse tutta la musica è davvero una linea continua di coscienza, che emana da qualche ricordo profondo di un luogo perfetto frammentatosi poi in realtà umana, un indizio della separazione del genere umano dal divino. La musica porta in sé qualcosa del non-visibile, del mistero, degli enigmi che ci definiscono. Un certo susseguirsi di note sembra emergere da - e penetrare in - luoghi nell’essere umano irraggiungibili con le parole, rendendo percepibile la natura più profonda della memoria umana, la coscienza e il desiderio. Certo, qualcosa nella musica irlandese suggerisce che essa esca dall'anima in un vortice continuo di quasivariazioni e quasi-ripetizioni, come se cercasse qualche formula perfetta per spiegare qualcosa di altrimenti incomprensibile. Ascoltare un grande suonatore di violino o di melodeon condurre una melodia in quella che sembra essere la sua ennesima permutazione è prendere coscienza di qualcosa dentro di noi cui ci si avvicina, qualcosa che viene circondato, corteggiato, definito da forme scolpite nel suono. Tutta la grande musica è scaturita da questi dualismi: paura e promessa, lacrime e risate, buio e luce. La musica sembra sorgere fondamentalmente dal dolore del genere umano, dal senso di esilio, di perdita e di nostalgia. Questo vale sia per le musiche gioiose che per i pezzi malinconici, due facce della stessa medaglia, le prime essendo un tentativo di descrivere ciò che i secondi lamentano come un'assenza. La musica irlandese è un tesoro ricco di passione, energia e intensità, e allo stesso tempo tende verso gli estremi: da un lato il dinamismo esuberante delle ballate reels, jigs e delle cornamuse; dall'altro la malinconia delle arie più lente e del canto sean nós, in cui i dolori della storia calamitosa d’Irlanda sono stati scolpiti e, nella riproposizione di un musicista, possono essere riproposti. Nel mezzo di questi estremi, c'è ben poco: un ampio spazio aperto in cui, in circostanze diverse, una più banale tradizione folk popolare si sarebbe potuta evolvere. Naturalmente, oltre ad avere questo ruolo nel cuore del singolo, la musica svolge una funzione simile a livello collettivo. Di solito le musiche tradizionali e popolari non sono state scritte da un solo compositore, ma da molti, cambiando ed evolvendo da semplici a complesse man mano che ogni interpretazione aggiungeva il suo punto di vista. Quella che noi chiamiamo musica "irlandese" si dice arrivi dal Nord Africa ed è cambiata per via di questo spostamento. Più tardi, si è modificata di nuovo quando, conservata nella memoria di coloro che fuggivano la fame e l'oppressione, è stata cantata sulle rive lontane d’Amerikay. E ancora quando, in diverse registrazioni, è stata rispedita a casa per creare nuove ondate di possibilità. Queste caratteristiche della musica trasmettono qualcosa della personalità irlandese come conseguenza della storia da cui è emersa: accorata, anche malinconica nella sua essenza, ma che si lascia andare a incredibili picchi di euforia e di festa. Questa rimane, nonostante la esteriore disinvoltura, la condizione di base della nazione irlandese ancora oggi. L'IRLANDA: UNA STORIA IN MUSICADi Stefano Rizza
Tratto dal volume Amazing Grace. Canzoni e storie di gospel, blues, soul & folk music di Walter Gatti (Itaca, 2010) La storia musicale dell’Isola di Smeraldo è incredibilmente ampia. Già l’Irlanda celtica possedeva una propria tradizione musicale, che aveva il compito di accompagnare riti e feste, rinvigorire le truppe prima e durante la battaglia, segnalare cariche e ritirate, onorare i caduti, invocare la protezione di Dio. Una delle tre caste sacerdotali era rappresentata da veri e propri musicisti, chiamati Bardi. Rispettati e onorati tutto il popolo, svolgevano quella che potremmo definire una funzione di coesione sociale: vagavano per corti e tribù narrando miti, leggende, fatti di cronaca, battaglie e conquiste, sotto forma di canzoni. La forte identità culturale irlandese nacque e si forgiò dunque grazie ai racconti di questi nobili menestrelli. Una svolta fondamentale per la storia dell’isola fu certamente lo sbarco di San Patrizio nel V secolo: colui che da bambino fu rapito e trasportato in Irlanda come schiavo, fu chiamato a tornarvi da Vescovo della Chiesa di Roma per convertire i suoi stessi carcerieri e la loro gente. Ci riuscì in modo sbalorditivo in pochi decenni grazie al suo genio valorizzatore. Il messaggio cristiano entrò non stravolgendo ma reindirizzando e compiendo la religiosità che era già molto presente nel popolo. Da questa religiosità fiorì un movimento monastico che rievangelizzò e uniì culturalmente l'Europa nei secoli successivi. La musica rispecchiò in maniera esemplare questo passaggio storico: rimase la stessa nella sua bellezza e forza espressiva, ma si rivestì del messaggio evangelico e di quella ricchezza umana che ne consegue. Canzoni popolarissime come The Wild Rover, che ripercorre la storia del figliol prodigo, o Molly Malone, che descrive con sguardo poetico l’umile e amata pescivendola, lo testimoniano chiaramente. La solidità della cultura irlandese non venne meno di fronte ai feroci Normanni che si riversarono sull’isola nell’Alto Medioevo, e in pochi decenni divennero “più irlandesi degli irlandesi”. Ma se tutti i nemici passano, uno rimane costante: l’Inghilterra imperialista con le sue mire espansionistiche verso l’isola. Di fronte a tutte queste ondate di invasioni gli irlandesi trovarono sempre nella musica un fedele alleato per celebrare la propria identità minacciata, per perpetuare la propria lingua gaelica, per ribellarsi e per pregare. La musica irlandese venne poi esportata in tutto il mondo nel tragico periodo delle deportazioni forzate e delle emigrazioni di massa. A metà del XIX secolo “The Great Famine”, la Grande Carestia, colpì l’isola già martoriata dalla situazione politica, e condannò alla fame e alla malattia milioni di persone. Molti decisero di partire alla volta di Inghilterra e America, mentre l’Australia divenne tristemente famosa come colonia penale. È di questo che parlano canzoni immortali come The Fields Of Athenry, Spancil Hill, From Clare To Here. Il tema dell’indipendenza, sempre presente nei secoli, tornò protagonista nella prima metà del ‘900. La “Easter Rising”, l’insurrezione di Pasqua avvenuta a Dublino nel 1916 e raccontata con toni epici in The Foggy Dew, si rivelò un fallimento, ma fu repressa talmente duramente dal governo inglese da smuovere l’opinione pubblica, risvegliandone il sentimento nazionale. Un tema talmente delicato e drammatico che trovò espressione in migliaia di componimenti fino ai giorni nostri: canzoni come The Town I Loved So Well, Back Home In Derry e Only Our Rivers Run Free sembrano perdersi nel tempo, ma hanno meno di cinquant’anni. Il forte revival folk degli anni 50, che lanciò formazioni grandiose come i Ceoltòiri Chualannl di Sean O’Riada, i Dubliners, i Planxty e i Chieftains, ebbe il merito di perpetuare questa tradizione con l’ammirevole capacità di aprirsi a nuove influenze (vennero introdotti strumenti provenienti da tutto il mondo come mandolino, fisarmonica, banjo e bouzouki) e nuove generazioni: possiamo dire che ad oggi non esista un musicista irlandese che non si sia confrontato con questo importante bagaglio culturale, dai rockers Pogues, Thin Lizzy e U2, ai cantautori come Van Morrison, Damien Rice e Glen Hansard. Una storia avvincente e affascinante dunque, così profondamente legata alle vicende storiche del popolo. Una storia che ci rivela i tratti più caratteristici dell’identità irlandese come l’amore incondizionato per la propria terra, una positività anche nelle difficoltà più estreme legata alla speranza cristiana, una delicatezza e poeticità dello sguardo anche nelle situazioni più dolorose, la forte propensione alla dimensione comunitaria. Una ricchezza eccezionale quella dell’Isola di Smeraldo, una vitalità musicale forse paragonabile soltanto a quella africana, dove se quest'ultima colpisce per l’impatto della ritmica e la fisicità trascinante, l’altra si distingue per la forza melodica ed evocativa. Esiste un posto dove questi due universi si sono conosciuti e compenetrati, mischiandosi e dando frutti generosi. Si chiama America. Ma questa è un’altra storia. |
THE TONGUE OF THE SOULby John Waters
Irish Journalist, writer, columnist and editor Contribution kindly written specifically for the ShamRock Band's debut album “The Welcome Glass” and published after on IlSussidiario.net (2012) The great Irish blues guitarist Rory Gallagher used to talk about music as a language that never ceased speaking inside him. It was on one continuous loop in his heart, expressing something that he could never speak. All he could do was keep playing as much of it as he could catch. Perhaps all music is indeed a continuous line of consciousness, which emanates from some deep memory of some perfect place but has become fragmented in human reality, a clue concerning the decoupling of mankind from the divine. Music carries with it something of the hidden, the mysteriousness, the puzzles that define us. A succession of notes seems to emerge from, and penetrate to, places in the human being that are unreachable by words, rendering audible the deepest nature of human memory, consciousness and desire. Certainly, there is something about Irish music that suggests that it comes out of the soul in an almost continuous whirl of quasi-variation and near-repetition, as though seeking some perfect formulation to explain something otherwise incomprehensible. To hear a great fiddle or box player driving a melody into what appears to be its umpteen permutations is to become aware of something approached in oneself, something being circled, wooed, defined by shapes carved in sound. The great musics of the world have grown out of these dualisms: dread and promise, tears and laughter, dark and light. Music seems to emanate fundamentally from the sorrow of mankind, from his sense of exile, loss and longing. This includes the joyous dance music as much as the plaintive lament, for one is a reaction to another, an attempt to imagine that which sorrow describes as an absence. Irish music is a rich treasury of passion, energy and intensity, but also tends towards extremes: on the one hand the exuberant dynamism of the jigs, reels and hornpipes; on the other, the plaintive lamentation of the slower airs and sean nós singing, in which the sorrows of Ireland’s calamitous history have been recorded and, in the care of a master musician, can be recreated at will. In between, there is very little: a broad open space in which, in different circumstances, some kind of a normal folk tradition might have evolved. Of course, as well as having this role in the individual human heart, music fulfils a similar function at the collective level. Traditional or folk musics are usually written not by one composer but many, changing and evolving from simplicity to complexity as each interpretation adds its perspective. What we call ‘Irish’ music, it is said, came here from North Africa, and was changed by this shift of location. Later, it was changed again when, carried in the memories of those fleeing hunger and oppression, it came to be played again on the faraway shores of Amerikay. And then, committed to recordings, it was sent back home to create new waves of possibility. These characteristics of the music convey something of the Irish personality as a consequence of the history it emerged from: soulful, even melancholy in its essence, but given to dramatic surges of elation and celebration. This, despite and outward nonchalance, remains the core condition of the modern Irish nation, rent asunder by colonization and radical interference, its culture fragmented and cast to the four winds, doomed ever after to seek itself while having nothing but instinct and buried memory to refer to. (John Waters) |
nella foto in alto: Samonios - Capodanno Celtico Busto Arsizio 2014